Un driver decisivo per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale: il caso Azure
Parlare di sviluppo sostenibile nel 2023 significa soprattutto parlare di cambiamento climatico, la sfida principale che impegna la comunità globale. I mutamenti, dovuti al riscaldamento dell’atmosfera terrestre, impattano con una forza spesso incontenibile sulla quotidianità di ogni abitante del pianeta: da un lato, nelle regioni meno sviluppate compromettono l’esistenza stessa di ampie parti della popolazione; da un altro lato, nelle aree più sviluppate espongono a rischi molto alti le infrastrutture fisiche determinano danni economici di gravissima portata.
I cicli delle precipitazioni e delle temperature, radicalmente modificati, cambiano la vita degli ecosistemi – boschi, superfici agricole, regioni montane, oceani – con effetti travolgenti su piante, animali e persone. Un dato fotografa il quadro globale meglio di tutti gli altri: tra il 1990 e il 2012 le emissioni di anidride carbonica (CO2) sulla Terra sono aumentate di oltre il 50 per cento.
L’azione della comunità internazionale per arginare il cambiamento climatico è espressa dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU e costituito da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (i Sustainable Development Goals, SDGs), a loro volta articolati su 169 traguardi concreti. L’obiettivo 13 è dedicato alla lotta ai cambiamenti climatici. Già dal suo punto numero 1, l’obiettivo traccia la strada da seguire: «Rafforzare in tutti i paesi la capacità di ripresa e di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali».
Il ruolo della tecnologia
Per muoversi sulla strada tracciata dall’obiettivo 13.1 occorrono i mezzi giusti. La tecnologia primeggia tra questi, e non potrebbe essere diversamente. Viviamo nel pieno della cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, della quale è protagonista uno sviluppo tecnologico che sta modificando ogni aspetto della nostra vita (per qualcuno l’impatto è lo stesso della scoperta dell’elettricità). Tra i motori principali di questa rivoluzione ci sono il cloud computing e le tecnologie che ne sostengono lo sviluppo, che rendono possibile per le aziende, le istituzioni e le singole persone accedere a una capacità computazionale pressoché illimitata, con una prospettiva evolutiva impensabile fino a pochi anni fa, soprattutto in settori come la salute, l’agricoltura e il retail.
Ma come recita una delle principali leggi dell’economia, «nessun pasto è gratis». Al pari di altri aspetti dello sviluppo tecnologico, la diffusione del cloud e la crescita delle sue possibilità sollevano il tema del loro impatto ambientale, soprattutto sul fronte del consumo di energia. Nei soli Stati Uniti, per esempio, i data center consumano ogni anno circa 73 miliardi di kilowatt-ore di energia elettrica, che corrisponde più o meno al 2 percento del consumo globale di quel Paese. Numero che sarebbe decisamente più alto se non fosse per l’efficienza garantita dai più evoluti data center. Tuttavia, l’Agenda 2030 e l’impegno degli Stati a ridurre drasticamente le emissioni di CO2 pongono anche lo sviluppo del cloud sotto la lente di ingrandimento dei regolatori.
L’impegno delle aziende contro la carbon footprint
Come è ormai noto a molti, la carbon footprint è il termine inglese con cui si indica il parametro utilizzato per stimare le emissioni di gas serra emesse da praticamente qualsiasi cosa, dagli individui alle grandi aziende. Tra queste, i player tecnologici sono tra i più impegnati nel rendere più leggera e sostenibile quell’impronta, offrendo ai propri clienti soluzioni efficienti nella riduzione dell’impatto ambientale.
Il cloud si dimostra decisamente competitivo rispetto ad assetti basati su implementazioni on-premise. Studi condotti da Microsoft sullo sviluppo delle soluzioni Azure (sia sul fronte del computing sia su quello dello storage), Exchange e Sharepoints hanno portato a risultati più che positivi. L’analisi è stata condotta lungo l’intero ciclo di vita del prodotto (estrazione dei materiali e assemblaggio, trasporto, utilizzo, dismissione) e ha permesso di verificare che il passaggio dal tradizionale data center collocato in azienda al cloud comporta un miglioramento dell’efficienza energetica in tassi che variano tra il 22 e il 93 percento (a seconda del servizio offerto e di come è distribuito). Il risparmio si rivela maggiore laddove è la piccola impresa a effettuare la transizione al cloud, agevolata dalla maggior efficienza che si ottiene su tre livelli: operazioni, equipaggiamento IT, infrastruttura del data center. Se poi si tiene conto degli acquisti di elettricità a zero emissioni effettuati da Microsoft, il miglioramento complessivo arriva a sfiorare il 98 percento (specificamente per i servizi Exchange Online e Azure Compute).
La prova sul campo
L’efficienza del cloud sul piano della sostenibilità ambientale è nota già da tempo. Sempre Microsoft, nel 2016, ha effettuato un caso di studio su un’azienda del settore abbigliamento mettendo a confronto l’utilizzo delle macchine virtuali Azure con le alternative on premise e la carbon footprint che ne è derivata. Il risultato è evidente: il cloud ha ridotto l’impronta del 70 percento.
Questo accadeva otto anni fa. La strada verso la sostenibilità ambientale e il raggiungimento degli obiettivi fissati a livello globale è quindi nota e non ha bisogno di ulteriori specificazioni. Il passaggio decisivo, tra gli altri, resta quello di diffondere il più possibile una tecnologia vincente qual è quella su cui si basano i servizi cloud, e di rinforzare la consapevolezza di tutti gli attori (singoli e collettivi) sui benefici che vi sono correlati.